Chi sarà l’erede al trono di re Giorgio?

Re Giorgio Napolitano

Dopo il sorprendente esito del voto di Febbraio, l’Italia si sta preparando all’elezione del nuovo capo dello Stato. Sarà una settimana in cui la vita politica del paese tornerà ad essere una fucina di accordi sottobanco, tradimenti dell’ultimo minuto, franchi tiratori e da cui uscirà, finalmente, il nome del successore di Giorgio Napolitano. Il 18 aprile il parlamento si riunirà in seduta congiunta, senza ancora avere una maggioranza chiara, senza avere un presidente del Consiglio, aprendo le porte a quella che potrebbe essere un elezione tormentata come quella di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992.

COME FUNZIONA. Il primo atto necessario per l’elezione del nuovo capo dello Stato è la convocazione dei comizi elettorali, che viene effettuata dal presidente della Camera, oggi rappresentato da Laura Boldrini. Il corpo elettorale è formato dai componenti delle due Camere a cui si aggiungono i senatori a vita e i grandi elettori: 3 delegati per ogni regione, tranne la Valle d’Aosta che ne presenta solo 1.

In genere i consigli regionali lasciano che uno dei grandi elettori appartenga all’opposizione mentre gli altri due sono selezionati tra le più importanti cariche del governo regionale, ovvero presidente, vicepresidente o presidente del consiglio regionale o capogruppo del partito di maggioranza in consiglio. Per l’Emilia Romagna, l’Assemblea legislativa ha scelto Vasco Errani, governatore in carica, Palma Costi, presidente dell’Aula, ed Enrico Aimi in quota Pdl.

CASO SICILIA. A rappresentare un’eccezione nelle nomine dei grandi elettori è stata la regione Sicilia. Il 18 Aprile dall’Ars arriveranno il presidente della Giunta regionale Rosario Crocetta, il presidente dell’Assemblea regionale siciliana Giovanni Ardizzone (Udc ) e l’ex numero uno di palazzo dei Normanni Francesco Cascio (Pdl). Resta a casa Giancarlo Cancelleri (M5S) che pur essendo capogruppo del primo partito in regione, non è stato chiamato ad esprimere il proprio voto a Montecitorio.

I NUMERI. Ad eleggere l’erede di Napolitano, il cui settennato terminerà il 15 maggio prossimo, ci saranno 1007 votanti: 945 parlamentari (630 deputati e 315 senatori), 4 senatori a vita in carica, 58 delegati regionali.

L’elezione si svolge sempre tramite scrutinio segreto. Nei primi tre scrutini è necessaria la maggioranza di due terzi (671 voti) dei componenti dell’assemblea, mentre è sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti – 504 – dal quarto voto in poi.

I PRECEDENTI. Dalla nascita della Repubblica a oggi sono stati necessari, in media, almeno 10 scrutini per eleggere il nuovo Capo dello Stato con le eccezioni di Ciampi e Cossiga eletti al primo scrutinio. Il presidente più votato è stato Sandro Pertini con 832 preferenze, il meno votato è stato invece Antonio Segni con 443 voti, l’elezione più “lunga” è stata quella di Giovanni Leone, salito al Colle nel 1971 dopo ben 23 scrutinii. Nel 2006, Giorgio Napolitano fu eletto alla quarta votazione, con 543 voti.

I “PAPABILI”. Tramontata ormai l’ipotesi di un Napolitano bis, nonostante la Costituzione non lo impedisse, la lista dei nomi che i rappresentanti parlamentari voteranno a partire da giovedì si allarga e si restringe ogni giorno. Gli accordi tra le varie forze politiche aiuteranno, forse, a scremare ulteriormente un numero consistente di alte personalità che l’uno o l’altro schieramento vorrebbero vedere entrare in Quirinale. Sui generis il caso del Movimento 5 Stelle che, dopo una votazione online fallita per attacchi informatici, ha sfornato, sempre in Rete, il nome del proprio futuro presidente della Repubblica: Milena Gabanelli. Nove – dopo l’autoesclusione di Beppe Grillo -, erano i “papabili” su cui sono stati chiamati a confrontarsi i “grillini”, passando da Emma Bonino a Gino Strada, da Dario Fo a Gustavo Zagrebelsky.

Nel frattempo, però, il guru dei 5 Stelle, Gianroberto Casaleggio aveva dichiarato la sua preferenza per un capo dello Stato che non fosse “politico” ma rappresentasse “tutti gli italiani, che sia superpartes”, tagliando di fatto la strada a Prodi e Bonino. Nel caso in cui, però, il popolo pentastellato avesse scelto proprio un appartenente alla tanto temuta “classe politica”, Casaleggio – così aveva precisato – si sarebbe rimesso alle decisioni del MoVimento, mentre Vito Crimi, il capogruppo al Senato, si era detto sicuro che il suo gruppo avrebbe proposto il nome di un candidato in grado di essere votato “anche da tutti gli altri partiti”.

ROMANO PRODI. È uno dei nomi più temuti dal Cavaliere, potrebbe far arrivare ad un intesa tra Pd e 5 Stelle, potrebbe far “andare all’estero” tanti del centrodestra e potrebbe altresì spaccare del tutto il Partito Democratico. Dalla sua parte ci sono diversi esponenti del partito, Vendola, e personalità in ascesa come quella del sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci Graziano Delrio, grande amico di Matteo Renzi, l’uomo destinato, nel bene e nel male, a cambiare il volto del Pd. Le frecciate a Marini e Finocchiaro da parte del sindaco di Firenze sono diventate delle vere e proprie coltellate in pieno giorno nella casa dei democratici. Con Prodi al colle, potrebbe saltare l’ipotesi di un governo di larghe intese, lo spettro di nuove elezioni si farebbe ancora più vicino e Renzi potrebbe diventare il nuovo leader del centrosinistra destinato a mandare in pensione Berlusconi e tanti altri vecchi nomi del Pd.

GIULIANO AMATO. È uno dei papabili destinati a far incrociare i voti di molti in attesa degli scrutini veri e propri. Sul suo nome si sono incontrati i favori di Bersani, Monti e Berlusconi che ha sempre gradito l’operato del “dottor Sottile”. Amato sarebbe un presidente laico e quindi risponderebbe anche ai requisiti graditi a Matteo Renzi. Per il sindaco di Firenze, l’elezione di Amato spianerebbe la strada ad un governo di scopo che gli consentirebbe di prepararsi per tempo nella sua candidatura a premier, così come accadrebbe con un’ipotetica, forse troppo, elezione di Massimo D’Alema.

MASSIMO D’ALEMA. Il presidente del Copasir si presenta come l’asso nella manica di tanti, primi tra tutti Silvio Berlusconi. Dal palco di Bari il Caimano ha espresso la sua preoccupazione per l’elezione di Prodi ma nulla su D’Alema, nemmeno una parola. Anche in questo caso, la motivazione più accreditata è quella di dividere il Pd con la fronda ex-democristiana pronta a fare le valigie e a decretare la fine del partito di Bersani. L’attuale segretario sembrerebbe già messo alla porta con le 50 pagine di manifesto congressuale scritte in fretta da Fabrizio Barca per conquistare la segreteria e con l’ormai dirompente personalità di Renzi, pronto ad “azzannare” chiunque (Finocchiaro e Marini ne sono un esempio) in nome del rinnovamento.

GIANNI LETTA. Il primo nome a mettere d’accordo il Pdl e Pd. Secondo Schifani sarebbe un “presidente della Repubblica perfetto, con un altissimo senso delle istituzioni e che non ha mai voluto candidarsi per mantenere inalterata la sua libertà di pensiero”. La sua ipotetica elezione non convince però gran parte del centrosinistra tanto che si è pensato di potergli affidare una carica importante come quella di segretario generale del Quirinale, che potrebbe diventare una sorta di “benedizione” per un’insperata intesa Bersani-Berlusconi, finora inedita.

EMMA BONINO. Come ha detto Marco Pannella, per lei c’è quasi un accordo “plebiscitario” o quantomeno un appoggio bipartisan che riesce a mettere d’accordo Paola Concia (Pd), Irene Tinagli (Scelta Civica), Mara Carfagna (Pdl) e persino gran parte dei 5 Stelle. La sua elezione sarebbe una ventata di aria fresca che si inserirebbe nell’aumento sostanziale delle donne in parlamento e si accoderebbe alla nomina di Laura Boldrini alla presidenza della Camera. Certo, gli antiabortisti, i clericali, la gente di sinistra che non apprezza le passate aperture a Berlusconi potrebbero storcere il naso, ma quello della Bonino resta uno dei nomi più apprezzati dagli Italiani che, in un sondaggio Swg, l’avrebbero già eletta come prima donna capo dello Stato.

STEFANO RODOTA’. Sarebbe potuto essere, assieme a Zagrebelsky, uno dei nomi selezionati dai 5 Stelleper il colle. Presidente dell’Antitrust dal 1997 al 2005, Rodotà è stato molto attivo nelle battaglie per i beni comuni, sostenendo con forza il referendum per l’acqua pubblica. Nel 2010 elaborò una proposta che potrebbe sembrare scritta da Grillo e Casaleggio, riguardante l’inserimento nella Costituzione di un articolo 21bis destinato a tutelare i diritti di accesso alla Rete di tutti i cittadini italiani. Il Partito Democratico che voterebbe contro il suo nome potrebbe essere la cartina al tornasole che svelerebbe, agli occhi dei pentastellati, la volontà dell’inciucio con il Pdl. Proprio in questa ottica, l’esito delle cosiddette “Quirinarie” avrebbe potuto rappresentare un efficace metro di giudizio per le alleanze.

I BOOKMAKERS. Se la corsa per il Quirinale ormai si fa sempre più ristretta i bookmakers inglesi, così come avevano fatto con il Papa, hanno già stabilito le quote sui futuri eredi di Napolitano. Prodi per ora è il vincitore ed è dato a 1.70, dietro di lui l’ex presidente del Senato Franco Marini pagato 4, Emma Bonino data a 5 e Gianni Letta a 6. Gli scommettitori di Liverpool, ignari delle ultime alleanze, darebbero Giuliano Amato a 7 mentre considerano improbabile il nome di Luciano Violante. Altissima invece la quotazione di Mario Monti e quella di Massimo D’Alema che farebbero vincere una posta moltiplicata per 15. Voli pindarici poi per chi sarebbe disposto a scommettere su Anna Finocchiaro o Rosy Bindi, entrambe bancate a 50, sorpassate persino dall’opzione “altri”, pagata 15.

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