di SALVO TARANTO – Le grandi manovre sono cominciate. Al momento, a Roma vanno in scena delle semplici esercitazioni, battaglie in sordina, ma tanto basta per mandare in fibrillazione i vertici dei partiti. E una delle parole più intriganti del gergo politico italiano torna a far capolino: ribaltone. Succede infatti che il governo di pacificazione nazionale, che mette insieme il diavolo e l’acqua santa, sia circondato dai pallottolieri. Trincee di calcoli vengono innalzate intorno ad un esecutivo nato per costrizione, come un figlio indesiderato.
I segnali sono inequivocabili: ciò che sembrava inevitabile, potrebbe non esserlo più. Torna a farsi largo l’ipotesi di una maggioranza diversa, molto simile a quella che Bersani aveva tentato di edificare prima di sbattere la testa contro l’intransigenza del MoVimento 5 Stelle o che il suo partito lo mandasse al massacro. I grillini non sono più quella falange macedone che si muoveva compatta subito dopo il trionfo elettorale di fine febbraio. Le divisioni e i rancori hanno infettato come un virus (democratico) un organismo che sembrava godere di ottima (dittatoriale) salute. La scissione è davvero dietro l’angolo. In realtà, all’interno dei parlamentari a 5 Stelle era sempre stata presente una componente favorevole ad un’apertura al centrosinistra: un’eventualità che non è neppure stata discussa a causa della fatwa lanciata da un Beppe Grillo in perenne ricerca di traditori. Ma tutti i nodi, nel frattempo, sono venuti al pettine e la mancanza di democrazia ha logorato giorno dopo giorno una forza politica cresciuta troppo in fretta e forse impreparata al successo. Per non parlare, inoltre, delle sconfitte elettorali inanellate in serie dai grillini che, di certo, non hanno fatto altro che surriscaldare il partito-non partito dell’uno vale uno in cui uno è di gran lunga più uguale degli altri. Grillo ha continuato a riempire le piazze divenendo però non più una calamita di consensi tra i delusi dalla politica, ma un fenomeno di costume, un elemento folkloristico. In Sicilia, dove i grillini erano primo partito appena quattro mesi fa, i comizi tenuti dal comico genovese nelle scorse settimane sono stati piuttosto affollati come in precedenza, ma a mancare stavolta sono stati i voti dentro le urne. Grillo, anziché interrogarsi sulle ragioni della batosta, ha invece perso la testa accusando gli stessi elettori di essere schiavi felici del sistema, ha irrigidito il suo controllo sul MoVimento e, ovviamente, non ha neanche speso una parola sulle sue eventuali responsabilità. Lo spogliatoio grillino, come accade alle squadre che perdono troppe partite di fila, è saltato, qualche giocatore ha messo in discussione l’allenatore, qualcuno ha gettato la maglia per terra e se ne è andato e altri si apprestano ad essere cacciati.
Ed è proprio questo caos ad aver rimosso la polvere che si era posata sui pallottolieri. Se, per l’appunto, i parlamentari pentastellati dovessero spaccarsi, i giochi al Senato potrebbero riaprirsi. La costituzione di un nuovo gruppo composto dai dissidenti rappresenterebbe una pessima notizia per Letta e per una delle componenti della maggioranza: il Pdl. Se la pattuglia dei transfughi fosse numerosa e si unisse all’alleanza di un centrosinistra rinsaldato dal ritorno di Sel, l’apporto del Pdl si renderebbe superfluo ed un nuovo esecutivo potrebbe vedere la luce. Bersani, lo sconfitto per antonomasia, dopo essersi eclissato, è tornato sotto i riflettori rilasciando un’intervista al Corriere della Sera in cui ha avvertito in modo sibillino che, in caso di caduta del governo Letta, il ritorno alle urne non sarebbe affatto automatico. Un messaggio che ha raggiunto le orecchie di chi doveva sentire, inducendo il Pdl a più miti consigli e a non tirare troppo la corda soprattutto dopo il recente tonfo della amministrative.
Paradossalmente però, l’uscita dell’ex segretario, supportato da Epifani, ha avuto come effetto quello di surriscaldare il clima dentro il Pd: le divisioni del M5S, ironia della sorte, stanno spaccando anche i democratici, sempre più assetati di ragioni che vanifichino le vittorie elettorali ed inneschino litigi. La dichiarazione di Bersani non è stata infatti accolta positivamente da Renzi e, come era logico attendersi, neppure dal premier, il quale sente aria di ribaltone. Per questo motivo, i sostenitori dell’esecutivo, dentro e fuori il Pd, hanno iniziato a mettersi di traverso: sono già molti gli esponenti centristi che hanno dichiarato la contrarietà al varo di un nuovo governo.
Cosa accadrà è difficile adesso prevederlo: molto, ma non tutto, dipenderà dall’estensione della frattura grillina. Ma a giocare un ruolo non trascurabile sarà un Pdl che, qualora i falchi avessero la meglio sulle colombe, si farebbe male da solo consentendo la riuscita delle grandi manovre. Questo, ovviamente, solo nel caso in cui il Pd preferisse varare un governo di centrosinistra anziché lasciarsi consumare dalle larghe intese: su un partito in cui un centinaio di parlamentari hanno pugnalato alle spalle l’unico uomo vincente del centrosinistra, Romano Prodi, non bisogna però fare troppo affidamento.