di DANILO COPPE – Oltre a far girare a mille le scatole dei maggiori leaders politici, attraverso epiche e fulminanti uscite del Candido, nel 1948, Giovannino Guareschi trovò anche il tempo di dare alle stampe niente meno che il primo volume della saga chiamata “Mondo Piccolo”, col sottotitolo (molto discreto) di “Don Camillo”. In realtà Guareschi covava da tempo le vicende del rude prete di Brescello, attraverso piccole storielle che, pubblicate qua e là, avevano già divertito i lettori del Candido. Favole che sembrano storie vere e storie vere che sembrano favole. Questa era l’intenzione dell’autore. Ma storie di tutti i giorni che potevano verificarsi in qualsiasi parte del globo. Ecco il perché del nome: Mondo Piccolo. Tutto raccontato con non più di duecento parole. Tante se ne attribuiva lo scrittore. Ecco uno dei maggiori segreti del successo delle opere di Guareschi: semplicità nel descrivere la quotidianità attraverso un’interpretazione permeata di umorismo intelligente. E sempre tagliente, come quando attraverso le parole di Don Camillo il messaggio è, ad esempio: “Come è debole l’uomo forte quando è messo in ridicolo”. Un insegnamento per tanti. E quindi giù satira, senza riguardi per nessuno. Guareschi pagherà cara questa filosofia professionale. Ma intanto Mondo Piccolo vende centinaia di migliaia di copie. E altrettante ne vendette l’opera uscita lo stesso anno: Lo Zibaldino. Quest’ultimo era un vero “bazar” di storielle, aneddoti, racconti della sua vita famigliare ma, stavolta, senza politica, né palese né nascosta. Mondo Piccolo si diffuse rapidamente anche nel resto del mondo: in due anni dall’uscita, due milioni di copie in Francia, due negli Stati Uniti, cinquecentomila copie ai tedeschi, e almeno duecentomila copie in ogni nazione d’Europa. Ma anche in Africa, in Giappone, in India! Numeri che farebbero venire i brividi a qualunque editore di oggi. Mentre ancora il “contavendite” girava all’impazzata per il primo volume, nel 1953 esce il secondo episodio della saga che esaurisce la prima tiratura (trentamila copie) in una settimana. E, indovinate chi si lagna stavolta? Nientemeno che il Vaticano, secondo cui il clima di distensione fra il prete e il sindaco comunista è eccessivo. E polemiche anche per il linguaggio del Cristo di Guareschi. A queste critiche il Nostro rispose che era meglio “discutere che scannarsi”. E guai a toccare i dialoghi con Cristo. “Perché”, diceva Giovannino, “chi parla nelle mie storie non il Cristo ma il mio Cristo, cioè la voce della mia coscienza. Roba mia personale, affari interni miei. Quindi ognuno per sé e Dio per tutti!”. E infatti la gente di tutto il mondo capiva. Mondo Piccolo fu pubblicato in USA ed Inghilterra anche in braille. I racconti di Don Camillo venivano letti per radio con continue repliche in tante Nazioni anche oltreoceano. La classifica dei migliori libri del mondo redatta a New York mantenne nei primi tre posti per mesi i libri di Guareschi. Persino il nunzio apostolico a Parigi (futuro papa Giovanni XXIII), un monsignore più illuminato dei colleghi di Roma, regalò ufficialmente al presidente della repubblica francese un libro di Don Camillo per “risollevargli” il morale. Un successo planetario insomma. E la critica italiana? Indovinate un po’… tiepida per non dire glaciale. A questa aberrazione culturale Guareschi rispose con il suo solito allegro sarcasmo: “In Italia mi ignorano. Mah! Si vede che si sbagliano all’estero”. Tra il primo ed il secondo volume delle avventure di Don Camillo e Peppone, nel 1950, morirono i genitori di Giovannino. Prima la Maestra Maghenzani e dopo un mese il marito Primo Augusto. Guareschi li aveva voluti a Milano, per averli vicini e fargli avere più comfort possibile. Ma poi, alla loro morte, li volle riportare a Marore. Il suo epitaffio fu il seguente: “Se mia madre mi ha insegnato ordine e dignità, mio padre mi ha dato fantasia e quel poco di pazzia che serve per osare. Se mia madre mi ha indicato Dio, mio padre me lo ha spiegato. Pochi altri come i miei vecchi, non andando d’accordo, sono riusciti ad essere la sintesi di un accordo perfetto. Che possano litigare in pace per sempre”. Dieci mesi dopo la morte della madre, Guareschi riceve una busta a lei indirizzata. Il presidente della repubblica italiana (Luigi Einaudi) conferiva un Diploma di Benemerenza alla Maestra Lina Maghenzani, senza medaglia d’oro acclusa, ma con il diritto di potersene fregiare. Fu la prima volta che in un toccante scritto di Guareschi si potè percepire un sentimento che nessuno avrebbe creduto potesse riguardare l’autore del Don Camillo: l’odio. Tale scritto fu pubblicato tra i racconti di Vita in famiglia e nel Corrierino delle famiglie, altri due grandi successi editoriali di Guareschi. Il suo fu un anatema feroce contro la demagogia tardiva di quel gesto pubblico, farcito di errori e di falsa retorica. Lo può leggere integralmente chi ha la fortuna di imbattersi in una copia della meravigliosa biografia di Guareschi (stra-esaurita) scritta da Beppe Gualazzini nel 1981 per la Editoriale Nuova e da cui ho proditoriamente attinto a piene mani per queste puntate di Zerosette.
Nel 1951 vengono realizzati i primi ciak del film di Don Camillo ad opera del regista francese Julien Duvivier. Sarà un altro successo planetario e incentiverà nuovamente le vendite dei romanzi. Il tutto nonostante i numerosi tentativi di boicottaggio da parte, stavolta, dei comunisti di Reggio Emilia. Il film, come i libri, erano caratterizzati da questa voglia di distensione, di invito all’autocritica, di stimolo a non prendersi troppo sul serio. Un messaggio scritto sempre con le duecento parole di cui disponeva l’autore. Un messaggio che ha raggiunto tutto il mondo e che per questo meritava il Premio Nobel per la pace, se non per la letteratura. Ma le Accademie della Svezia e della Norvegia hanno pensato ad altri: per la pace dal 1949 al 1954 cinque burocrati ed un solo attivista, il grande medico missionario Albert Schweitzer. Ancor più grave fu che, nei due anni a seguire, il Premio per la Pace non fu nemmeno assegnato. Negli stessi anni, per i premi per la letteratura diversi autori “meteora”. Uno scippo a Guareschi, a mio modesto modo di vedere. Infatti, in qualsiasi parte del mondo, personaggi simili a Don Camillo e Peppone potranno sempre essere reperiti e riadattati, col loro messaggio di amicizia e lealtà; sentimenti che travalicano i biechi interessi di bottega, di opportunismo politico o sociale, di speculazione economica o di potere.
Quanto bisogno ci sarebbe oggi di qualche centinaio di Giovannini Guareschi? (continua)