Per la manovra è il giorno della verità

Lo spread tra Btp e Bund apre in calo sebbene ancora vicino ai 320 punti. Il differenziale tra i due titoli è ora a 317 punti con un rendimento al 3,53%. Ieri l’indice ha chiuso a 326 punti dopo aver superato i 330 punti.
Apertura in rialzo per Piazza Affari. Nel giorno in cui è atteso il giudizio dell’Ue sulla manovra del governo, l’indice Ftse MIb ha avviato gli scambi in crescita dello 0,98% a 18.653 punti.

Asia deboli, Tokyo cede lo 0,3%, salgono Piazze Cina  – Borse asiatiche deboli dopo l’ennesima scivolata di Wall Street che, con il crollo dei tecnologici, ieri ha bruciato i guadagni del 2018. L’andamento dei mercati americani ha avuto un diretto riflesso su quello giapponese, con Tokyo che ha chiuso in perdita dello 0,35%, malgrado Nissan (+0,3%) stia cercando di recuperare le perdite di ieri (-5,45%) legate all’arresto del presidente Carlos Ghosn. Anche se le tensioni con gli Stati Uniti non si allentano, le piazze cinesi tentano il rimbalzo: ieri hanno chiuso con perdite di oltre il 2%, mentre oggi Shanghai guadagna lo 0,2% e Shenzhen lo 0,5%. Bene anche Hong Kong, che sale dello 0,3%. Sono invece in perdita Seul (-0,29%) e Sidney (-0,6%). Piatta Mumbai. I futures indicano aperture in rialzo sia per i mercati europei e sia per Wall Street. Fra le notizie macroeconomiche attese in giornata, il parere della Commissione Ue alla manovra italiana e il dato sulle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti.

Wall Street ancora in calo, brucia guadagni 2018 – Wall Street affonda con i tecnologici e brucia i guadagni del 2018. La fuga dall’hi-tech, e soprattutto da Apple, alimenta i timori di un rallentamento dell’economia globale e rafforza ancora di più quelli per una guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina. E si fa sentire sul petrolio, che chiude a New York in calo del 6,57%. Non si salva neanche il Bitcoin, che scende ai minimi degli ultimi 13 mesi a 4.225 dollari. Per Cupertino si tratta di una nuova seduta di passione: i titoli archiviano la seduta in calo del 4,79% con l’aumentare delle preoccupazioni sulla debole domanda per l’iPhone. Apple, che valeva 1.000 miliardi di dollari solo poche settimane fa, ora ne vale 880. Un crollo che fa salire a 1.000 miliardi il valore di mercato bruciato dalle Faang – Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google – rispetto ai loro record storici. Dal 25 luglio Facebook ha bruciato 250 miliardi. Amazon ha visto svanire dal 4 settembre 255 miliardi, mentre Google 155 dal 27 luglio. Netflix ha perso 63 miliardi dal 21 giugno. I tecnologici – afferma Donald Trump – stanno avendo delle difficoltà, ma si riprenderanno. Gli effetti del calo di Apple si avvertono a livello mondiale. Le borse del Vecchio Continente risentono anche della continua incertezza sulla Brexit. Le piazze europee chiudono tutte in rosso, con Milano che arretra in chiusura dell’1,87% a 18.471 punti, un livello che non vedeva da dicembre 2016. Ad agitare Wall Street oltre tecnologici sono i timori di una frenata economica globale che possa coinvolgere gli Stati Uniti, già alle prese con una guerra commerciale con la Cina. L’attenzione è tutta per l’incontro fra Trump e il presidente cinese Xi Jinping al G20: un faccia a faccia che potrebbe rivelarsi decisivo sul fronte commerciale. La speranza è che venga raggiunto fra Washington e Pechino almeno un accordo di massima in grado di stemperare i timori sull’economia e sulle aziende americane, che si ritrovano ostaggio della battaglia.

Manovra: verso bocciatura Ue,è debito che preoccupa – Il primo passo formale verso l’apertura di una procedura per debito eccessivo si compirà domani, ma al di là del prevedibile rumore non avrà nessuna conseguenza immediata. Anzi, in realtà potrebbe essere persino una tappa utile all’Italia, perché aprirà una nuova finestra per negoziare con Bruxelles affinché la procedura sanzionatoria vera e propria non scatti mai. La Commissione pubblicherà domani un’altra opinione negativa sul Documento programmatico di bilancio. Stavolta su quello aggiornato, ma non nei saldi, il 13 novembre. Siccome non contiene le modifiche “sostanziali e considerevoli” chieste dalla Ue, l’opinione ribadirà quanto scritto il 23 ottobre: la manovra contiene una deviazione dagli impegni “particolarmente grave”, si basa su “ipotesi ottimistiche di crescita”, mette a rischio “una riduzione adeguata del debito”, che resta una “grande vulnerabilità”. Motivazioni che hanno portato Bruxelles a preparare anche l’ormai noto ‘rapporto sul debito’, chiamato 126.3 dall’articolo del Trattato che lo descrive. Salvo sorprese dell’ultim’ora, o decisioni last minute di Juncker – che vedrà il premier Conte solo sabato sera – il collegio dei commissari è pronto a pubblicare domani anche il rapporto 126.3. E’ il documento in cui la Commissione chiarisce perché non è convinta dalle ragioni (‘fattori rilevanti’) che l’Italia ha indicato per spiegare l’andamento dei conti. Certifica anche che l’Italia viola la regola del debito e avverte che la procedura non è più rinviabile. Per questo è quindi considerato il primo passo ‘formale’ che potrebbe condurre all’apertura della procedura. Ma, appunto, il condizionale è d’obbligo. Non solo perché ogni tappa deve essere validata anche dall’Ecofin, ma anche perché non è un percorso lineare quello che porta alle sanzioni. Anzi, multe e quant’altro (ad esempio il blocco dei fondi strutturali) sono l’ultimo passo in assoluto e potrebbero non verificarsi mai, come accaduto con Spagna e Portogallo: quando non rispettarono il rientro dal deficit, la Commissione impiegò mesi per raccomandare la multa, ma nel frattempo i due Governi trovarono un accordo con la Ue e la procedura decadde. Anche l’Italia potrebbe quindi negoziare per mesi e non arrivare mai alle sanzioni. In ogni caso, l’eventuale lancio vero e proprio della procedura Ue è improbabile che avvenga prima di gennaio, ovvero prima che la manovra venga approvata dal Parlamento. Ma dopo le feste, se la Commissione aprisse l’iter e l’Ecofin del 22 gennaio lo confermasse, il rischio più immediato previsto dalle regole sarebbe un altro: la richiesta di una manovra correttiva da fare in 3-6 mesi. E solo dopo scatterebbero le sanzioni pecuniarie che possono andare dallo 0,2% allo 0,5% del Pil. Sempre che nel frattempo lo spread non raggiunga livelli tali da rendere necessari interventi pesanti e immediati.

FONTE ANSA

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