“Il progetto del secolo”, secondo Xi Jinping, vacilla in un mare di debiti e corruzione. La quantità di prestiti d’emergenza concessi dalla Cina è enorme: 240 miliardi di dollari elargiti negli anni più recenti – in particolare, dal 2019 al 2021, la Cina ha dato quasi la metà del Fondo monetario internazionale. Ma a tassi per nulla di favore: 5% quando il Fondo monetario chiede il 2 per cento. Così la Cina crea legami ancora più stretti con molti paesi oggi in difficoltà e fa crescere il peso del renminbi come alternativa al dollaro. Resta il fatto che dietro i salvataggi ci sono investimenti mal congegnati; spesso, poi, l’obiettivo è salvare le banche statali cinesi che hanno concesso i primi finanziamenti. “In ultima analisi, Pechino sta cercando di salvare le proprie banche. Ecco perché è entrata nel business rischioso dei prestiti di ultima istanza”, spiega Carmen Reinhart, professoressa della Harvard Kennedy School ed ex capo economista della Banca Mondiale. Reinhart è uno dei responsabili della ricerca che ha preso in esame i prestiti cinesi. Hanno partecipato allo studio, insieme ad Harvard e Banca Mondiale, anche AidData e il think tank tedesco Kiel Institute.

Qualcosa sembra andato storto nei piani di Xi Jinping. Se da una parte è vero che la gran massa di prestiti riflette il ruolo di superpotenza economica di Pechino – la Cina, per certi versi, ha sostituito gli Stati Uniti nel salvataggio di paesi a medio e basso reddito indebitati, scrive il New York Times. Dall’altra però troppi paesi non riescono a pagare i debiti. Certo, dipende dall’economia globale che rallenta e dai tassi d’interesse che invece salgono – una congiuntura sfavorevole, secondo Pechino, innescata dagli Stati Uniti alzando i tassi della Federal Reserve. Ma c’entra anche la carenza di progettazione generale dello schema cinese, dicono gli autori della ricerca. Prestiti elargiti in modo troppo superficiale, pochi studi di fattibilità e mancanza di trasparenza. Secondo Christoph Trebesch del Kiel Institute, uno degli autori del report, i prestatori cinesi sono entrati con non curanza in molti paesi “che si sono rivelati avere problemi particolarmente gravi”. I prestiti di salvataggio hanno toccato 22 Stati, tra cui Argentina, Bielorussia, Ecuador, Egitto, Laos, Mongolia, Pakistan, Suriname, Sri Lanka, Turchia, Ucraina e Venezuela. Dal 2019 al 2021, la Cina ha elargito 104 miliardi di dollari in linee di credito d’emergenza a paesi in via di sviluppo.

Alcuni progetti sono diventati celebri nel mondo come esempi di tutto ciò che non va fatto quando si concedono prestiti. In Montenegro, c’è la “strada verso il nulla”, 1 miliardo di dollari polverizzati in corruzione, problemi ambientali e ritardi; in Ecuador, più di 7mila crepe sono state trovate in una diga ecuadoregna costruita nei pressi di un vulcano attivo. Ma la Cina si difende sostenendo di aver finanziato infrastrutture strategiche per molti paesi, rendendo disponibile denaro che altrimenti quei governi non avrebbero trovato. La “Belt and road initiative”, in italiano Le vie della seta, ha totalizzato 838 miliardi di dollari dal 2013 al 2021, e nei piani di Xi Jinping dovrebbe contribuire all’ascesa globale della Cina, scalfendo l’egemonia americana.

Ma è un progetto che sembra aver perso slancio. L’anno scorso il valore dei contratti completati è stato di 85 miliardi di dollari, da un picco di 98 nel 2019. La Cina ha cominciato a ridurre l’impegno in costose infrastrutture e a orientarsi su progetti più mirati, accordi per l’accesso a risorse strategiche, petrolio e gas in Medio Oriente, Africa e America Latina, e i metalli necessari all’energia pulita. Poi c’è il ruolo di prestatore di ultima istanza. In gran parte serve – questo dice lo studio – a proteggere da perdite le banche statali cinesi, tenendo a galla i paesi in difficoltà in modo che continuino a pagare i debiti.

Non tutti però ricevono i prestiti d’emergenza. Vengono privilegiati i paesi a medio reddito, spiega lo studio. Questo perché hanno in pancia l’80% del totale dei prestiti all’estero della Cina, quindi pongono grossi rischi di bilancio e le banche cinesi hanno tutto l’interesse a non farli fallire. Sorte diversa toccherebbe ai paesi poveri. Loro sono meno importanti per le banche, fanno solo il 20% dei prestiti esteri, e raramente vengono salvati.

(Fonte: Lastampa.it)

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