(Dalla rubrica “Cattivo cittadino, di Gianni Barone”)

Con una gara da «Alzati e cammina», si è compiuto, per il Parma martoriato a Cosenza e contestato da pubblico e critica per la pochezza dei risultati e per l’ambiguità del mercato, il miracolo sportivo stritolando il quotatissimo (fino a ieri) Genoa, sovrastato sul piano fisico, tattico, dinamico e financo mentale. E come direbbe il compianto Massimo Troisi, esistono miracoli, con l’iniziale minuscola e Miracoli, con la emme maiuscola, eccome e con tanti punti esclamativi alla fine.
Non sembra vero che (quasi) la stessa squadra umiliata dalla cenerentola Cosenza, sia riuscita ad avere la meglio, con grande merito, di uno svagato Genoa, ridotto ai minimi termini dagli uomini di Pecchia agguerriti, equilibrati e combattivi come non mai.

Eppure i Crociati, battendo per 2 a 0 il Grifone che non graffia e perde la sua prima gara della gestione Gilardino, riesce così – dopo Frosinone e Reggina – a vincere con le prime tre della classe, tutte indiziate e favorite per la promozione diretta in A.
E allora come la mettiamo? La solita storia, ancora una volta. Per vincere ed evitare brutte figure servono motivazioni e stimoli che da soli i giocatori, a quanto pare, in proprio, non sono in grado di procurarsi?
Serve avere di fronte lo squadrone, o presunto tale, per farcela e mettere sul campo quella determinazione, quella cattiveria e quella imprevedibilità che normalmente vengono lasciate chissà dove, sostituendole con mollezza, leggerezza ed insipienza tecnica e tattica. Invece basta l’ennesimo infortunio, dopo pochi minuti a carico del malcapitato Mihaila, per avere la svolta che decide la partita dopo aver cambiato gli equilibri tattici nei confronti di un Genoa, arrendevole ed irriconoscibile oltre misura.

Ma cosa è successo? I tifosi diranno che bisogna contestarli per smuoverli, però Pecchia e i suoi prodi hanno dato non quel qualcosa non in più, o in meglio, come qualcuno proponeva o auspicava, ma quel qualcosa di diverso che serviva e che non é mai stato attuato in precedenza. Cioè? Non più possesso palla insistito, sterile ed involuto, ma una maggiore rapidità nel riconquistare la palla e ripartire per attaccare alle spalle una difesa avversaria improvvidamente schierata troppo alta. Tutto questo grazie allo spostamento di alcune pedine e al cambiamento di atteggiamento e di disposizione aldilà dei numeri che ognuno potrà emettere per descrivere il cambio di sistema attuato. Non importa se si sia trattato di 4-1-4-1 (sistema che in teoria non esiste e non ha fondamento didattico alcuno), come qualcuno afferma o di 4-3-3 o addirittura 4-2-4: quel che conta è che il «Lazzaro», si sia alzato e si sia messo a correre o a camminare, come metaforicamente si usa dire nei pressi di «Cancello e Arnone» e dintorni grazie al falso «nove» Vazquez a suo agio quando il suo andamento lento non paralizza la manovra, ma mette a dura prova la resilienza avversaria, con tocchi e movimenti “sul posto”, tutti d’alta classe; e soprattutto per merito della libertà di giocate da parte del neo “falso dieci”, Bernabé non più costretto ad inseguire ed interdire, ma in grado di creare grattacapi con strappi che solo lui sembra in grado di proporre sulla trequarti avversaria.
Si dira poi, più o meno a ragione, che l’impatto del neo acquisto Zanimacchia, non poteva essere migliore, anche se l’ex cremonese ha dato l’impressione di non voler strafare per garantire solo pane e concretezza nelle sue evoluzioni, limitando all’essenziale, le sgroppate lungo l’out.

E che dire della difesa, che dopo i buchi e le amnesie passate, riesce a compattarsi sulla solidità ed esperienza del ritrovato Osorio e di quella di Ansaldi, finalmente schierato nel suo ruolo naturale, quello che riesce ad interpretare meglio, cioè di esterno su quella fascia sinistra orfana di quell’Oosterwolde che ragioni di plusvalenza hanno privato, e di cui si spera e si pensa non si debba, affatto, apporre rimpianti di sorta.
Il solito Parma, qualcuno eccepirà, bravo con le grandi e inguardabile con le piccole che viaggia in altalena o nel «calcinculo» della sua disarmante continua discontinuità senza fine e senza remissione alcuna.
Con la classifica che piange meno e accenna a qualche timido sorriso in chiave play off e addirittura in vista di una promozione diretta non ancora da escludere, merito di una mediocrità ed una indecifrabilità di risultati e prestazioni altrui senza fine, anche queste.
E allora cosa resta da fare e da dire dopo aver gridato al miracolo? Che anche con il Genoa, battuto, stordito e sorprendentemente sovrastato nonostante abbia quel centravanti Coda (ieri ectoplasmatico più che mai in zona gol) che molti avrebbero voluto a Parma, può veramente succedere di tutto nel calcio come nella vita di questo enigmatico torneo cadetto.

A cosa serve, allora, sparare a zero nei salotti Tv del «tutto e il contrario di tutto», o strepitare in piazza ex delle Armi, con slogan e cartelli emozionali, elencando colpe e individuando i colpevoli? Serve, serve, si dirà, fa parte del cosiddetto gioco al massacro «morbido», propedeutico al prossimo «capolavoro tattico e sportivo» che la credenza e la tendenza popolare al miracolo riesce sempre a motivare, garantire e perfino, con grande stupore o grandi doti divinatorie, di chi, astuto esperto assiso a santone della pelota, scritta o parlata, riesca ad avere l’agio di prevedere.

(Fonte: Stadiotardini.it)

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