In più di 1000 vennero deportati nei campi di sterminio

Una immagine d’epoca raffigurante tra gli altri le piccole sorelle Fiorella e Luciana Anticoli, tratta dal volume ‘16.10.1943. Li hanno portati via’, che raccoglie missive, corrispondenze, report, dossier e fotografie sui bambini romani ebrei deportati. Furono 1.259 le persone della comunità ebraica romana (tra i quali 207 bambini, 363 uomini e 689 donne) rastrellate dai soldati tedeschi della Gestapo tra le 5,30 e le 14 di sabato 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma, tra Via del Portico d’Ottavia e le strade adiacenti. Una data che quest’anno assume un valore particolare per la ricorrenza dei 70 anni della razzia e per le polemiche seguite alla scelta dei far svolgere i funerali di Erich Priebke proprio il 15 ottobre. ANSA / US 

 

 

Settantanove anni fa il ‘sabato nero’, una delle pagine più buie della storia italiana: all’alba del 16 ottobre del 1943 i nazisti iniziarono il rastrellamento del Ghetto di Roma.

Non furono risparmiati neanche altri quartieri della Capitale, da Trastevere a Testaccio, da Monteverde al Salario.

In 1259 – 689 donne, 363 uomini e 207 bambini – furono costretti ad abbandonare le loro abitazioni, a lasciarsi alle spalle tutte le cose e i ricordi di una vita.

Furono portati a forza a Palazzo Salviati, dove i tedeschi distribuirono dei biglietti scritti in italiano con le istruzioni per l’imminente deportazione. Tra loro c’erano anche due donne incinte che partorirono due bambine nel cortile dell’ex collegio militare della capitale.

In 227 vennero rilasciati perché provenienti da famiglie ‘miste’, ma più di 1000 ebrei romani – la mattina del 18 ottobre del 1943 – furono portati dalle SS alla stazione Tiburtina e caricati su un convoglio con 18 carri bestiame diretti nei campi di sterminio. La maggior parte delle persone fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Per le vittime di quella razzia fu un viaggio senza ritorno: solamente in 16 sopravvissero, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, morta nel 2000. Nessun bambino uscì vivo da quell’inferno. A ricordare quella ferita che resta incisa indelebile nella città di Roma c’è una lapide commemorativa al Tempio Maggiore.

Ma soprattutto ci sono le voci e i racconti di chi ha vissuto quell’orrore e ha dedicato la vita a tenerne viva la memoria nelle nuove generazioni perché un’aberrazione simile non si ripeta mai più.

 

 

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